Tempo fa discussi con un amico sulle difficoltà che spesso si incontravano (e incontrano tutt’ora) quando uno deve passare da un gestore di telefonia ad un altro. Tutto sommato i cavi sono, di fatto, ancora di telecom nella maggior parte dei casi. Una delle conclusioni cui eravamo arrivati è che, in effetti, l’unica soluzione sensata sarebbe statalizzare i cavi e venderli a tutti gli operatori secondo condizioni chiare, trasparenti e uguali per tutti. Certo, poi ci sarebbe da manutenerli: ma se lo fa la telecom (che ha un numero di dipendenti e un bilancio paragonabile a quello di un piccolo stato) perché non dovrebbe poterlo fare un organismo statale apposito? Il controllo sarebbe implicito nel fatto stesso che ci sarebbero delle ditte fra lo stato (golem spesso decerebrato) e il privato cittadino (minuscolo e impotente da solo contro questo golem) e delle SLA da rispettare (perdonate il gergo informatico: SLA=”termini di servizio”, sostanzialmente, ovvero quello che chi uso un servizio si aspetta di ricevere in termini di prestazioni, efficienza, continuità, etc.).
Una cosa del genere magari sembra strana: in un tempo in cui si vogliono privatizzare spiagge e acqua c’è ancora chi pensa che certe risorse debbano essere gestite dallo stato?
Ebbene sì, e allargherò il tiro. Di molto.
Ci sono delle cose che, in qualche modo, sono necessarie a tutti, in quanto esseri umani partecipanti in una società civile, spesso lavoratori, a volte anche imprenditori. Chi abbia il controllo sul “rubinetto” (la metafora idrica è quanto mai attuale a poche ore dal referendum) ha in qualche modo in mano le palle della gente e può regolare come vuole il suo tornaconto.
Analizziamo un attimo queste necessità pensando al fatto che viviamo nel XXI secolo, e non in una società agricola di tremila anni fa. Elencherò ora una serie di “cose” che dovrebbero stare sotto il controllo pubblico in un’ipotetico Stato ideale che abbia realmente a cuore ogni suo singolo cittadino e le sue necessità:
- l’acqua, ça va sans dire (e con questo intendo sia la rete distributiva che la risorsa di per sé)
- la rete di distribuzione dell’energia (con questa intendo sia l’energia elettrica che il gas)
- le reti telefoniche di base (fondamentalmente i cavi che permettono a tutti di poter allacciare un telefono o un’ADSL, ma anche le stesse frequenze dei cellulari, del wi-fi, dei media – radio e TV)
- la rete ferroviaria (ma non i treni)
Uno Stato di diritto permetterebbe a qualsiasi cittadino l’accesso a tutti questi servizi. Poi sarà il cittadino, dove c’è questa possibilità, a scegliere un fornitore diverso (per l’elettricità, per il gas, per i viaggi) e pagare il fornitore secondo leggi di mercato che, almeno, vedranno potenzialmente tutti i fornitori su uno stesso piano, e non alcuni favoriti, altri meno. Il fornitore pagherà un affitto della rete secondo il suo uso. Questo affitto sarà commisurato sui costi di mantenimento, sulla “limitatezza” della risorsa e sulla redditività plausibile.
Ma mi allargo ancora di più:
- i brevetti dei farmaci: non trovate paradossale che un imprenditore faccia di tutto per fare in modo che un suo cliente attuale non lo sia più in futuro? Beh, una casa farmaceutica dovrebbe venderti un prodotto che ti guarisce in modo tale che tu non abbia più necessità di comprare quel prodotto (che lo paghi il cittadino o il SSN è secondario). Questa è una cosa che sicuramente frena la ricerca. Immaginate una ditta che trovi la cura per una malattia cronica, che so, il diabete: se essa stessa vende insulina, guadagnandoci, pensate che prenderebbe a cuor leggero l’idea di pubblicarla? Certo, guadagnerebbe istantaneamente tantissimo… ma poi dovrebbe cancellare una voce stabile di bilancio. Quindi: per me chi fa ricerca dovrebbe essere pagato secondo i risultati, dallo Stato. Poi i farmaci dovrebbero essere prodotti dalle ditte che pagheranno allo Stato i diritti di sfruttamento del brevetto, avendo comunque altro guadagno, certo, ma se lo Stato deve essere controllore non può anche essere il controllato
- accesso al credito: questa è più complicata. Le banche fanno soldi sui soldi: vendono soldi ad un costo maggiore del loro valore e li comprano ad un prezzo inferiore… ok, non sono impazzito: se chiedete un prestito vi faranno pagare un certo tasso, se versate su un conto di risparmio vi daranno un tasso inferiore. E nella differenza ci guadagnano. Per carità, ha un suo senso: c’è il rischio d’impresa, la struttura, la convenienza per chi deposita e la necessità per chi chiede soldi. Questa forbice però a volte è esagerata. Se il peer to peer finanziario (stile Zopa) non decolla, lo Stato stesso dovrebbe fare da banca, calmierando il mercato: anche qui, condizioni trasparenti e regole precise e uguali per tutti basate su tassi di riferimento potrebbero dare una bella regolata ai banchieri
Ci sarebbe altro da dire ma preferisco fermarmi qua, altrimenti poi qualcuno inizierà a darmi del bolscevico.
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