Fantascienza e allegoria

Tempo fa scrissi, con Marco Perez, una serie di articoli per un GdR che fu pubblicato solo parzialmente in cui definivamo i tre generi principali (abusando in parte del termine “fantascienza”) come: realistico, fantastico e fantascientifico; il primo è autodescrittivo, il secondo è quando si introducono elementi non reali e/o non verosimili ma non ci si preoccupa di spiegarli più di tanto o di approfondire le conseguenze di tali inserimenti. La fantascienza, in quell’ambito, invece diventava qualcosa di più approfondito: l’inserimento di elementi non reali o (apparentemente) non verosimili veniva in qualche modo “spiegato” e, soprattutto, se ne consideravano le consuguenze sul mondo e, spesso, sulla società. In questo senso era sia “scientifica” (quando cercava di spiegare inserimenti quali iperspazio piuttosto che wormhole) sia “social” (quando approfondiva anche l’impatto sulle persone, come singoli e come società). In questo senso definimmo Guerre Stellari (la trilogia originale) come “fantastico” e non “fantascientifico”.

Ora, vent’anni dopo, posso dire di essere anche un autore di fantascienza oltre che di ambientazioni e avventure di GdR e vorrei aggiungere un ulteriore commento: io credo che una importante corrente della fantascienza sia quella le cui storie vengono pensate come allegorie del mondo reale. Allegorie distanti, perché visibilmente irreali (viaggi interstellari, imperi galattici, intelligenze artificiali, cyborg…) ma, a saper leggere bene e interpretando, rappresentazioni del mondo reale, moderno. E quando lo scopo dell’allegoria diventa pedagogico o satirico (a seconda delle intenzioni dell’autore) sono convinto che si possano ottenere i risultati migliori, soprattutto quando l’autore riesce a farlo in modo non pedante ma coinvolgendo il lettore appieno.

(in commento a Fantascienza, una questione etimologica)

Fantascienza, una questione etimologica

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